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L'isola dell'abbandono (C. Gamberale)

In questo libro c’è molto, a livello di introspezione da parte della protagonista e di ciò che ne ricava: il che non sarebbe una cosa negativa, ma è forse troppo.

L’isola dell’abbandono è infatti un romanzo che sembra più un diario – anche se scritto in terza persona – che “rovescia” sul lettore un costante flusso di coscienza. Inoltre, la vicenda viene narrata tramite continui salti temporali in avanti e indietro, struttura che accentua il senso di confusione.

Tuttavia, in un periodo come quello attuale, in cui forse molti stanno evitando di guardare dentro se stessi perché fuori c’è già troppo – troppe paure, troppe frustrazioni, troppe pressioni – è bene immergersi in questo genere di letture, che fanno capire quanto siano potenti i riflessi della nostra interiorità sull’esterno. Quanto tutto ciò che ci circonda e tutte le relazioni che costruiamo siano condizionati dal nostro approccio, a sua volta influenzato dai nostri trascorsi.

Il passato e il presente si intrecciano, così come l’interiorità si riverbera sul mondo esterno: la protagonista vive in preda alle proprie ansie, ereditate, ataviche, irrazionali ma così potenti da diventare solide, concrete. La profezia che si autoavvera. E non solo, queste ansie le impediscono la costruzione di rapporti sani, in primis con se stessa: così si lega alle persone sbagliate per le ragioni sbagliate. Oppure a quelle giuste nelle modalità sbagliate.

Nonostante quindi una scrittura non particolarmente scorrevole e un fluire di pensieri fin troppo affannoso, a volte soverchiante, questo libro offre una serie di spunti da accogliere senza esitazioni:


[…] che cosa ha perso, mentre non se ne accorgeva?

[…] anziché accettare che è tutta roba mia, che sono io, solo io, che non so giocare, non so nemmeno da dove si comincia per mirare a quel risultato finale, quel risultato fatale – essere felice […]

“Anche se, in effetti, grazie al nostro trauma e alle nostre ossessioni siamo al sicuro, perché al calduccio nel nostro mito, come dici tu, le persone non esistono, certo, ma proprio per questo nessuno sconosciuto potrà mai entrare e farci di nuovo male…”

[…] per abbandonarsi fino in fondo a qualcuno, a qualcosa, bisogna sempre abbandonare qualcun altro, qualcos’altro.


L’importante, concluderei, è non abbandonare mai se stessi.

Prima però bisogna trovarsi.


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